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Genesis of the Daleks

Genesis_of_the_Daleks_intListen, if someone who knew the future pointed out a child to you and told you that that child would grow up totally evil, to be a ruthless dictator who would destroy millions of lives, could you then kill that child?

Il serial scelto per rappresentare il Quarto Dottore nella maratona indetta da RadioWho è probabilmente uno di quelli più celebri della serie classica di Doctor Who.

Genesis of the Daleks (ecco i nostri sottotitoli per la prima metà e per la seconda metà del serial) mostra infatti, come promette il titolo stesso, il momento in cui lo scienziato Davros crea i Dalek, che diventeranno esseri votati alla distruzione e alla conquista nonché acerrimi nemici del Dottore.
Il protagonista, inviato in quel preciso momento storico sul pianeta Skaro dai Signori del Tempo con il compito di impedire la nascita dei Dalek, si trova così faccia a faccia per la prima volta con Davros. Costui appare come un grottesco e orrido essere metà umano e metà mostro, la cui pelle ha un colore putrescente e che si muove su una sorta di sedia semovente che contiene anche i sistemi che lo tengono in vita, modello dal quale viene ripresa la parte inferiore del rivestimento dei Dalek. Non viene spiegato il passato di questo personaggio, quindi non si sa il motivo per cui è ridotto in queste condizioni, ma questa omissione volontaria rende forse ancora più affascinante un villain molto “cerebrale”, che porta avanti i suoi interessi grazie all’uso della sua mente di scienziato e alle conquiste tecniche che raggiunge con il suo lavoro.

Questa caratterizzazione rende Davros un avversario interessante per il Dottore, perché permette un confronto anche e soprattutto a livello intellettuale: al contrario di un nemico che punta tutto sulla fisicità e sull’azione (come saranno i Dalek stessi), con Davros il Dottore crede di poter dialogare e ragionare, e ci prova almeno un paio di volte nel corso di questa lunga avventura, anche se con esiti infruttuosi. Davros è infatti consumato dall’insano desiderio di eternità e potere, che rincorre attraverso esperimenti scientifici al limite dell’eticità che trovano pieno compimento proprio con i Dalek.
A conti fatti non c’è realmente bisogno di conoscere la sua back-story: il villain è rappresentato perfettamente anche solo così.
Si potrebbe paragonare per certi versi a Palpatine, il malvagio Imperatore della saga cinematografica di Star Wars, anch’egli corrotto all’interno dalla brama di potere e conquista.

Tom Baker veste i panni di questa quarta incarnazione del protagonista, ed è forse la più convincente e “completa” caratterizzazione del personaggio vista finora. A partire dal costume scelto, che tra cappello, cappotto e soprattutto l’iconica sciarpa lunga e colorata comunica immediatamente l’idea di un viaggiatore un po’ strambo, il Dottore di Baker riesce ad essere un simpaticone sopra le righe ma anche, quando la situazione si fa critica, la persona giusta al momento giusto, pronto ad agire con prontezza e serietà. La mimica facciale dell’attore è forse il quid vincente, permettendo allo sguardo di questo Dottore di apparire quasi sempre stralunato, anche nei momenti più carichi, quasi come se fosse un cartoon. E in effetti molte movenze del corpo ricordano alcuni guizzi dell’animazione.

Tom Baker mi appare come il Dottore più simile alla resa del personaggio adottata nella “rinascita” del 2005, con un approccio piuttosto moderno alla caratterizzazione del protagonista che trovo funzioni molto anche vista oggi. Non sorprende che il Quarto Dottore sia uno dei più conosciuti tra gli otto classici, particolarmente noto anche negli Stati Uniti d’America.

Ad accompagnare il Dottore ci sono due companions: Harry e Sarah Jane.
Il primo appare come un’ottima spalla, più comica che d’azione anche se non manca di audacia: la scena in cui spalleggia il Dottore nel chiedere del tè ai propri carcerieri, o la nonchalance tutta british che mantiene anche nelle situazioni più critiche lo rendono un personaggio tutto sommato piacevole, anche se è innegabile che il Dottore privilegi la compagnia di Sarah Jane.
Quest’ultima per buona parte del serial in esame è separata dai due compagni, e proprio in tale frangente dimostra di possedere le doti che spesso hanno contraddistinto le companion moderne: coraggio, iniziativa, curiosità e prontezza di spirito. Anche da sola, anche prigioniera, Sarah Jane le prova tutte per capovolgere la situazione, non arrendendosi mai e non rimanendo mai passiva o in attesa che il Dottore salvi la situazione.

L’ho trovata un’ottima caratterizzazione, e non è un caso che proprio lei sia diventata protagonista di uno spin-off di Doctor Who nel 2007. Dopo l’apparizione da guest star dell’attrice, Elizabeth Sladen, nel terzo episodio della seconda stagione del “New Who” (dove il Dottore era interpretato da David Tennant), la vecchia compagna reciterà in The Sarah Jane Adventures, prodotto di stampo più prettamente teen e da “TV dei ragazzi” di quanto non fosse Doctor Who, ma apprezzabile, e testimonianza tangibile dell’affetto dell’attrice verso questo universo narrativo e verso il ruolo che aveva ricoperto decenni prima.

Genesis of the Daleks, come diversi serial dell’epoca, conosce vari punti di stanca nel suo svolgimento, spalmato su ben 6 episodi da 22 minuti ciascuno che costringono gli autori ad allungare il brodo e a far girare a vuoto la trama in almeno un paio di occasioni. Resta comunque una storia riuscita, e gestita bene nella sua importante funzione di mostrare l’origine dei più terribili nemici del Dottore.

Davros tornerà a incrociare la strada del Dottore altre quattro volte durante la serie classica, e comparirà in un paio di occasioni anche in quella moderna: si confronterà infatti con il Decimo Dottore (David Tennant) alla fine della quarta stagione e più recentemente con il Dodicesimo Dottore (Peter Capaldi) nei primi due episodi della nona stagione, occasione nella quale i due torneranno a dialogare in alcune ottime scene, dove la qualità della sceneggiatura si innalza e dove non mancheranno esplicite citazioni proprio a Genesis of the Daleks, compreso un footage dalla sesta parte del serial.

Day of the Daleks

Day-of-the-Daleks-intFanatics, Jo, not thugs. Changing history is a very fanatical idea, you know.

In Day of the Daleks (trovate i sottotitoli relativi in questo post) è di scena il Terzo Dottore e, per la prima volta nella maratona di RadioWho, anche i suoi acerrimi nemici, i Dalek.

Immancabili quando si parla del Dottore e della sua “mitologia”, i Dalek incrociano la strada del Dottore fin dalla sua prima incarnazione, e sono infatti dei nemici ben noti quelli che reincontra in questo serial, anche se è la prima volta per Jon Pertwee.
Troveremo nuovamente i Dalek nelle prossime tappe della maratona, ma per il momento vorrei soffermarmi su come appaiono qui: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, o perlomeno a quanto pensavo io, i Dalek risultano forse più minacciosi e inquietanti qui che nelle loro apparizioni durante la nuova serie. In questa avventura non agiscono quasi mai in prima persona, avendo dei servitori che eseguono i loro ordini, ma la loro freddezza, la loro determinazione e la loro crudeltà, il tutto convogliato nell’obiettivo di governare la Terra, fa sì che lo spettatore avverta la pericolosità di questi alieni, nonostante l’aspetto che si potrebbe anche trovare buffo, o comunque non proprio inquietante.

Per quanto riguarda il Dottore, Pertwee ne dà una versione decisamente particolare, che per indole personale è quella finora che mi ha convinto meno: il personaggio assume infatti atteggiamenti più vicini a quelli di un detective rispetto ai parametri a cui siamo abituati, soprattutto nella prima parte dell’avventura, con sviluppi che lo calano addirittura in situazioni che paiono prese da una spy-story. Il Dottore dimostra poi in più occasioni di padroneggiare una sorta di arte marziale, o comunque di saper usare alcune mosse di attacco e difesa che lo avvicinano più ad un avventuriero vecchio stampo piuttosto che al Signore del Tempo a cui siamo abituati.

Anche il tenore dell’avventura rispecchia queste impressioni: siamo nel periodo in cui il Dottore è in pianta stabile sulla Terra, e lavora per la Unit a stretto contatto con il Brigadiere Lethbridge-Stewart, più volte citato anche nella serie moderna. Vien da sé che, pur sempre con attinenza a trame di stampo fantascientifico o fantastico in genere, le avventure vissute dal Dottore in questo frammento della sua vita possano avere punti di contatto con gli altri generi citati prima. Ma resta straniante.
A parte questo, Pertwee fornisce comunque una prova attoriale convincente (e straordinariamente affine a quella che anni dopo avrebbe fornito il somigliantissimo figlio, Sean, nei panni di Alfed per la serie TV Gotham), molto d’azione ma che non manca di quella compostezza inglese e di quel portamento recitativo tipico del teatro, dove l’attore ha sviluppato buona parte della sua carriera.
Anche Jo Grant, la companion interpretata dall’attrice Katy Manning, fornisce una prova di tutto rispetto: a confronto con Zoe, vista nel precedente serial analizzato, The Mind Robber, Jo è forse più aderente al modello di “donzella in difficoltà”, finendo spesso in situazioni di pericolo dalle quali essere salvata. Ma è da notare che non si abusa in modo cieco di questo cliché: Jo si rivela infatti anche una ragazza curiosa, capace di porre domande intelligenti al Dottore e anche di compiere gesti di coraggio e di dimostrare spirito d’iniziativa. Ne esce quindi un buon personaggio, non esattamente a tutto tondo ma comunque apprezzabile.

È interessante ricordare che l’attrice tornerà a vestire i panni di Jo nel 2010, nel pregevole quinto episodio della quarta stagione di The Sarah Jane Adventures, spin-off di stampo teen di Doctor Who con protagonista un’altra companion della serie classica, Sarah Jane appunto. In The Death of the Doctor Jo Grant compare come guest star (come anche Matt Smith nel ruolo del Dottore), con un’idea di fondo piuttosto buona e con un uso del personaggio rispettoso e stimolante per le riflessioni sulla figura dei compagni di viaggio del protagonista.

Una parola la merita anche il celebre Brigadiere: l’ho trovato un personaggio riuscito e ben caratterizzato, assimilabile per ruolo, rapporto con il Dottore e tenore delle storie una sorta di corrispettivo dell’Ispettore Lestrade dei racconti di Sherlock Holmes, oppure al Commissario Basettoni nei fumetti di Topolino. Un uomo che rappresenta l’autorità, onesto e dotato anche di certe qualità, ma che finisce per fare solo da spalla e “supporter” dell’eroe, fornendogli sostanzialmente lo spunto iniziale delle avventure e alcune facilitazioni grazie al proprio lavoro.
Il fatto che non gli si faccia comunque fare eccessive figuracce lo rende simpatico e funzionale alla storia.

Per quanto riguarda la trama, infine, mi ha soddisfatto più di quanto mi aspettassi: parte infatti in modo strano, mettendo in scena una situazione misteriosa, che intriga ma che risulta annacquata in un’ambientazione e un contesto che si configurano come poco appassionanti. Solo verso la fine del secondo episodio, dei quattro totali di cui è composto il serial, si inizia a intravedere il disegno complessivo, che si rivela particolarmente interessante grazie a ingredienti quali paradossi temporali e tentativi di cambiare la Storia… dal futuro. Quindi, di cambiare il nostro presente.
Niente di narrativamente sbalorditivo, intendiamoci, ma il tutto viene gestito in maniera interessante e lodevole, con qualche pecca qua e là e con un finale eccessivamente accelerato ma con un cuore narrativo coinvolgente.

The Mind Robber

The-Mind-Robber-intLogic, my dear Zoe, merely enables one to be wrong with authority.

Nel presentare Doctor Who ad un profano, una costante dei fan è quella di fare riferimento alle possibilità praticamente illimitate dell’ambientazione di ogni episodio, concesse dalla capacità del protagonista di viaggiare a suo piacimento nel tempo e nello spazio. D’altronde il TARDIS può condurre il suo proprietario, e con lui il pubblico, veramente dovunque, facendolo ritrovare in uno scontro fra pistoleri nel West, su una stazione spaziale a combattere contro robot impazziti o sul campo di battaglia della sanguinaria guerra dei cent’anni. In tal modo la serie non compie un semplice cambio di setting, ma un vero e proprio cambio di genere, esplorando nuove possibilità e reinventandosi di episodio in episodio; se già nell’era di William Hartnell, Doctor Who si era spinto nei meandri della fantascienza fino a toccare corde esterne al genere stesso, è probabilmente con The Mind Robber (S06 Ep6-10, di cui vi abbiamo fornito i sottotitoli della prima e della seconda metà) che si arriva al punto massimo di libertà che questa scelta stilistica può offrire.

Diviso in cinque episodi e caratterizzato da una trama certamente fra le più originali della serie, rappresenta un unicum per la scelta di ambientare la storia in una sorta di “mondo della fantasia”, facendo incontrare al Dottore per una volta non strani esseri di lontani mondi o grandi personaggi di epoche passate, ma celebri creature fuoriuscite dalle pagine della letteratura d’ogni tempo. Questo pone le basi per i continui cambi di setting e di minacce che i protagonisti si ritrovano ad affrontare, permettendo anche svolte completamente assurde e lasciate senza alcun bisogno di una vera spiegazione. E tutto funziona, nella più totale stravaganza e follia creativa, anche grazie all’approccio scelto da Peter Ling (sceneggiatore del secondo, terzo e quarto episodio), più vicino a Walt Disney che non ai fratelli Grimm come impostazione, che regala a buona parte del serial una spensierata atmosfera di divertimento.

La storia riprende dove era terminato The Dominators, il serial precedente, con il secondo Dottore e i suoi compagni Jamie e Zoe all’interno del TARDIS bloccato nel bel mezzo di un’eruzione vulcanica. La necessità di salvarsi da questa situazione spinge il Dottore a usare un’unità di emergenza che conduce la celebre cabina fuori dalla realtà stessa, in una sorta di vuoto totale. Jamie e Zoe si ritrovano vittime di una forza tentatrice che li spinge ad uscire dalla nave, una forza cui lo stesso Dottore resiste con fatica. Inizia così il primo episodio, sceneggiato da Derrick Shervin (già mente dietro The Web of Fear), il quale si trova il non facile compito di costruire in poco tempo una puntata in grado di legare The Mind Robber, i cui quattro episodi sono completi e pronti per essere girati, con The Dominators, cui era stato tagliato il sesto episodio a causa del basso audience. Scarsissime le risorse sfruttate, dunque (il set del TARDIS, nessuna ambientazione, il solo cast ricorrente), per un episodio incredibilmente efficace, pregno d’incertezza e claustrofobia sorrette, oltre che da una buona sceneggiatura, dall’abile regia di David Maloney. Alla fine, dopo aver salvato i suoi due compagni, il Signore del Tempo tenta di tornare alla realtà, ma il tentativo fallisce e il TARDIS… esplode, lanciando i suoi passeggeri nel nulla: un inizio che lascia indubbiamente scioccati.

È tuttavia dal secondo episodio in poi che si entra veramente nel vivo della vicenda, con i nostri intrappolati in un mondo ove la realtà e la logica sono sovvertite, per far posto alla fantasia di un inquietante essere che tutti chiamano semplicemente “il Padrone”. Da qui in poi il setting diviene protagonista tanto quanto il trio di personaggi, mostrandosi sempre differente e mai prevedibile (pur assecondando alcuni cliché) passando da una foresta di parole a una casa sperduta nel bosco o dal labirinto del Minotauro a un castello con all’interno tecnologia all’avanguardia. Forti dell’incredulità del Dottore gli spettatori vengono accompagnati in questo turbine di trovate, le quali, va detto, sono talmente in gran numero da poter tecnicamente riempire un’intera stagione, ma vengono abilmente gestite come i segmenti di qualcosa di più grande evitando in tal modo di annoiare.
Ad aiutare in questo intervengono anche i personaggi della letteratura incontrati durante gli episodi, davvero vari per genere e provenienza. Tra di essi i più efficaci sono sicuramente Gulliver, interpretato dal grande Bernard Horsfall (e che Ling fa parlare unicamente sfruttando dialoghi già presenti nel libro I Viaggi di Gulliver), e la mitologica Medusa, caratterizzata da dei serpenti bene animati in stop-motion. Notevoli anche gli inquietanti soldatini giocattolo giganti, preceduti da un intelligente suono del battere d’un pendolo che amplifica l’effetto della loro presenza, e Karkus, personaggio proveniente da un immaginario fumetto degli anni 2000. E poi ancora altri personaggi di leggende, favole, miti e romanzi. Tutto in The Mind Robber sembra glorificare la carta stampata in ogni sua forma.
Non vanno inoltre dimenticati le varie prove di fronte alle quali il Dottore, Jamie e Zoe vengono costantemente posti, sotto forma di indovinelli, rebus, puzzle (uno in particolare inerente il volto di Jamie che il Dottore sbaglia con divertenti conseguenze) e giochi di parole, come a voler omaggiare anche la creatività e l’ingegno, i veri padri della letteratura.

E proprio parlando di questi ultimi ci portiamo al senso di ciò che Ling vuole esprimere col titolo del serial, senso che diviene chiaro nel momento in cui il Dottore si ritrova finalmente faccia a faccia con l’antagonista della storia, quel famoso Padrone che pare avere il controllo su ogni cosa nel mondo della fantasia. Seppure nella storia prevalga un senso di divertimento, nel progredire si ode sempre più forte un grido contro il pericolo che può venire dal conformarsi ad un unico pensiero non nostro, un ideale non sentito. Se già all’inizio questo si fa sentire, con Jamie e Zoe che si lasciano ingannare dalla voce del Padrone, nell’ultimo episodio ciò si palesa ancora di più, con i compagni del Dottore che vengono completamente soggiogati e resi al pari degli altri personaggi fantastici (quindi semplici marionette), ed è ancora più palese quando arriviamo a scoprire la verità sul Padrone stesso. La resistenza opposta dal Dottore porta con sé dunque, probabilmente, un ben maggiore senso di libertà, che possiamo considerare legato all’omaggio di cui si parlava prima come una magnifica e indissolubile morale della favola.

Pur essendo indubbiamente riuscito, The Mind Robber non può però definirsi un serial esente da difetti. A molte delle creature incontrate dal Dottore e i suoi compagni non è stata resa giustizia a causa degli effetti speciali (è il caso del davvero povero Minotauro) o di scarse capacità attoriali (la giovane attrice che interpreta Raperonzolo, ma anche i bambini), alcune parti sono eccessivamente veloci e l’escamotage del gridare che un personaggio non sia reale per poi farlo sparire lascia un senso di pigrizia e viene francamente usato troppe volte.

Questa recensione è a cura di Eddy, collaboratore del sito e membro dello staff che si occupa dei sottotitoli che realizziamo per voi, sia per le nuove stagioni che per gli episodi di questa maratona di RadioWho.

The Edge of Destruction

Edge-of-Destruction_intWell, as for you, young lady, well, you were absolutely right. It was your instinct and intuition against my logic, and you succeeded.

Cominciamo una serie di retrospettive su alcuni episodi della serie classica di, più precisamente sui serial che fanno parte della maratona indetta da RadioWho e di cui settimanalmente vi forniamo i sottotitoli realizzati appositamente per l’occasione.

Si parte, come ormai saprete, con The Edge of Destruction, terzo serial della prima stagione classica (di cui vi abbiamo già fornito i sottotitoli) ed è difficile commentare in modo completamente oggettivo questo episodio.
Ci troviamo di fronte ad un prodotto che risente molto del peso degli anni, e questo non solo sotto l’aspetto visivo ma anche per quanto riguarda il ritmo narrativo.
È quindi necessario contestualizzare tale episodio, collocandolo nel periodo in cui è stato realizzato, per poterlo valutare in modo abbastanza onesto.

La prima cosa interessante da analizzare è la figura del Dottore: William Hartnell è il primo attore a prestare corpo e volto al personaggio, e lo caratterizza in maniera prevalentemente burbera, ma non priva di elementi che ne addolciscono, di quando in quando, il comportamento. Può ricordare a tratti la figura di un vecchio nonno brontolone, ma in fondo di indole buona. Hartnell unisce a queste sensazioni anche quel pizzico di “follia” che ricorda allo spettatore che quel personaggio è più di uno strambo vecchietto, ma è un alieno che nasconde infinite sorprese.

Passando ai companions, abbiamo la nipote Susan e i due insegnanti della stessa, Ian Chesterton e Barbara Wright. Le loro interpretazioni risultano spesso ingessate, troppo marcate e quasi teatrali. Come ribadito in precedenza occorre contestualizzare, ma è innegabile che alcune azioni e frasi di questi comprimari risultino piuttosto artefatte allo spettatore di oggi, un problema che però non si riscontra nel protagonista, forse più a suo agio in una recitazione già di suo sopra le righe.

Per quanto riguarda la storia, a livello di trama non c’è molto da dire: il classico plot giallo del “mistero della stanza chiusa” viene rielaborato all’interno del TARDIS, dove il Dottore sospetta che Ian e Barbara abbiano manomesso i comandi creando il malfunzionamento alla base del racconto.
Il doppio episodio si svolge così interamente nello stesso spazio chiuso, una scelta considerabile quasi “d’avanguardia” o comunque particolare, ma che viene sporcata con una risoluzione piuttosto all’acqua di rose e che può lasciare perplessi per la sua ingenuità.

Ad una trama quindi risibile e tutto sommato sciocchina si contrappone però quello che considero il cuore dell’episodio, che va trovato nello smussamento caratteriale del Dottore di Hartnell: verso la fine dell’avventura, infatti, il protagonista riconosce di essersi sbagliato in alcuni atteggiamenti e fa un passo indietro, scusandosi e dimostrandosi più aperto verso il prossimo.

Una morale forse banale, ma resa in maniera interessante e capace di farci sentire molto vicino il Dottore.
Vi ricordiamo che venerdì sera prossimo, 15 gennaio, ore 21.30, si parlerà di questo episodio su RadioWho: non mancate.

The Husbands of River Song

The Husbands of River Song“Everybody knows that everybody dies. But not every day. Not today.”

Un sospiro di sollievo.

È stata la mia prima reazione dopo la visione di questo episodio; la mia paura maggiore infatti era che Moffat si scordasse qualche cosa (ormai ha una certa età! :P) che l’avrebbe reso incompatibile con quanto visto finora nella timeline di River Song. Invece il buon Moff si ricorda ancora le cose (si sarà fatto uno schemino anche lui) e tutto ha senso. Sì, un dettaglio nuovo è un po’ tirato, ma roba di cui ci accorgiamo in due, niente di che. Ne parlo dopo.

Per il resto… River Song incontra il Dodicesimo Dottore! Non proprio la sex storm che preannunciava RTD, ma non ci si può proprio lamentare… anzi! L’episodio è forse la cosa più romantica mai vista in tutto Doctor Who, ma siccome le persone impegnate nella storia romantica non hanno un aspetto particolarmente giovanile, la cosa non sembra aver fatto inorridire i fan di vecchia data che in genere storcono il naso su queste cose… i misteri della psiche umana!

Qualcuno è forse rimasto sorpreso del comportamento “libertino” di River in assenza del marito, io sicuramente no, è esattamente come me l’aspettavo. È la figlia di Amy, dopotutto! E non solo quello, non c’è molto da agitarsi per il fatto che volesse uccidere il re, visto che era una specie di Adolf Hitler (che già aveva provato a uccidere, in fondo). River non è il Dottore e non lo è mai stata, la sua coscienza (se ce l’ha) è diversa. E il Dottore non ha mai avuto problemi con questo. Non approva, ma non è un problema.

Il finale è stupendo, con due sole parole (“24 anni”) il Dottore/Moffat riesce a invertire completamente la percezione della storia nostra e della stessa River, portando il lieto fine.

Sulla storia ho poco da dire, è più una scusa per vedere River in azione solitaria e di permettere al Dottore di vederla così. È anche l’occasione per noi (e per lui) di scoprire davvero cosa pensi del suo rapporto del Dottore e di quanto triste la cosa sia dal suo punto di vista. Nello stesso modo sia noi che lei ci accorgiamo che sono tutte idiozie quelle che pensava e che “le stelle e il tramonto” sono perfettamente capaci di provare sentimenti “umani” verso altre persone, proprio come lei. Oppure forse stava mentendo per prendere tempo, come ha detto (non ci crede nessuno).

Mentiva probabilmente invece quando diceva che l’astronave precipitata l’avrebbe ritrovata lei in quanto archeologa… perché poi vediamo che cade su Darillium (e lei non lo sapeva) e soprattutto che subito dopo viene iniziata la costruzione del ristorante a opera del Dottore finanziatore, quindi non è che ci fosse molto da scavare 400 anni dopo. (Che bello è l’utilizzo del TARDIS per passare dalla notte dell’incidente al giorno dopo, che poi magari era comunque anni dopo vista la durata della notte… un colpo di levetta e via. E poi un po’ più lungo per dar loro il tempo di costruire il ristorante).

L’episodio è bellissimo soprattutto per le due scene principali. Quando River rivela quello che pensa sul Dottore e il finale alle Torri di Darillium. Ma in tutto l’episodio semplicemente guardare le loro facce mentre interagiscono farebbe venire un sorriso a 32 denti a chiunque.

Ma veniamo alla timeline di River Song. L’episodio per lei è ambientato subito dopo “The Angels Take Manhattan” (tra l’altro noi sappiamo che River ha visto Amy dopo quell’episodio, ma volendo essere precisi viene detto che siamo subito dopo “Manhattan”, quindi…). E subito prima della biblioteca. Ma “subito” è una parola esagerata. Si parla di 24 anni… quante volte si saranno annoiati e andati via di lì per quei 24 anni? Quante volte River avrà rubato il TARDIS senza che lui se ne accorgesse – come viene curiosamente fatto notare a inizio episodio essere una sua abitudine? Quanti altri Dottori futuri può aver conosciuto River in questi “24 anni” che per lei possono essere durati altri 200? Era una cosa che mi preoccupava, River *doveva* aver conosciuto altri Dottori futuri, e per fortuna l’episodio non lo nega. Un altro momento in cui avrebbe potuto fregare il TARDIS è quando si sveglia, prima di uscire, volendo. Il poco spazio sul diario mi sembra più una fisima sua… il Dottore non sapeva minimamente quanto tempo lei avrebbe avuto (non sapeva che avesse 200 anni, per dire).

Probabilmente adesso River non comparirà per un po’… magari mai più con il Moff (dovesse andarsene dopo la decima), ma rimane sempre aperta la possibilità di tornare, almeno finché Alex Kingston continuerà a non invecchiare come ha fatto negli ultimi 8 anni.

Una cosa di cui avremmo potuto fare a meno sono le foto ordinate dei primi 12 Dottori. Sapevamo che aveva le foto, ma il fatto che conosca l’ordine conferma un lieve problema: River sa che Ten viene prima di Eleven. Quindi, anche ammettendo che nella biblioteca avesse già incontrato Ten (per lui dopo, ovviamente) non sarebbe stato così assurdo capire subito che quello era il loro primo incontro, soprattutto se aggiungiamo il fatto che lei sapeva di Darillium. Quest’altra cosa infatti – per quanto inevitabile nell’economia della storia – è la vera novità che stona perché nella biblioteca lei non dava idea di sapere che sarebbe stato il loro (per lei) ultimo incontro. Ovviamente avrebbe potuto mentire… e in realtà anche Twelve mente (be’, non dice niente in realtà) riguardo al prossimo ultimo incontro, perché, sebbene è vero che lei sarebbe morta, non sarebbe stato comunque l’ultimo. E non sarebbe morta morta. Rimane l’assurdità della citazione della Byzantium con Ten, visto che a questo punto sapeva che Ten veniva prima di Eleven. Sempre che non incontri talmente tanti altri Dottori in questi “24 anni” da potersi confondere facilmente. (È chiaro che questo problema discende dal fatto che Moffat aveva pensato inizialmente che Picnic ad Asgard e incidente della Byzantium li avrebbe vissuti – on screen o off – con Ten, cosa saltata subito per la Byzantium in “The Time of Angels”). Comunque sempre nella biblioteca River riconosce, dalla faccia, che lui è “giovane”, prima di rendersi conto che è addirittura il loro primo incontro, quindi anche se meno schematica la cosa, sapeva già che Ten veniva prima di Eleven e l’errore non è stato introdotto ora, bensì allora (ed è stato obbligatorio). Naturalmente sapendo di Darillum e che il loro prossimo incontro sarebbe stato l’ultimo, non avendo ancora mai vissuto il loro primo incontro non sarebbe potuto essere che quello, per cui non sarebbe dovuta essere sorpresa. Insomma, l’unico nuovo “problema” sorge perché lei sa di Darillium, non è una cosa grossa. (E in realtà non lo sa, lo immagina. Ma comunque…)

Altra cosetta storta (ma anche questa non nasce qui) è quando in “The Time of Angels” River si lamenta della baby-face del Dottore. Ma essendo Eleven (o ora è Twelve?) il “suo” Dottore la faccia non avrebbe dovuto turbarla particolarmente. Vero è che se guardiamo Matt in quell’episodio (il primo che avesse mai girato) era davvero molto più giovane rispetto a episodi successivi (e pure per il Dottore sono passate centinaia di anni). Quindi, un po’ tirata, ma ci sta. E non è comunque una novità.

La citazione di “Last Night” (retcon a manetta, ma perfettamente sensata) è stata bellissima. Anche perché non solo il 99% degli spettatori televisivi non sa nemmeno cosa sia, ma nemmeno buona parte dei fan sembrerebbe saperlo/ricordarsene, visti tanti commenti a riguardo un po’ ovunque nelle ultime settimane.

Vedremo come verrà gestita dalla Big Finish la questione River e i Dottori precedenti a Ten (che non potrebbero conoscerla e viceversa). Ho comprato e sto ascoltando i Diari di River Song, ma ci metterò un po’ ad arrivare a quello con l’Ottavo Dottore. Niente spoiler, grazie.

Riguardare il finale di “Forest of the Dead”, con Ten che sostanzialmente si complimenta indirettamente con Twelve per la trovata del cacciavite (che poi trovata non è, avendolo scoperto lì! Bootstrap!) è bellissimo e lo consiglio a tutti.

Altro:
– Il set di Kill the Raven è già diventato una location classica;
– Le Torri di Darillum sono uguali alle zampe dell’elefante in Arizona;
– Murray Gold ancora una volta grandissimo (e il tema della biblioteca sul cacciavite?);
– Il sottile sottotesto del Dottore cornuto a inizio episodio. Il TARDIS è un burlone;
– C’erano delle “vibe” da “Voyage of the Damned”;
– Stephen Fry! River è stata con Stephen Fry! Abbastanza… curiosa come cosa! 😀
– Il Dottore ha finalmente modo di avere la sua scena “It’s bigger on the inside!” e CHE scena!

Quindi grandissimo episodio, grandissimi attori, grandissimo Moffat e grandissimo Natale.